Il Grand Hotel dell’Opera

Giuseppe Verdi è considerato, insieme a Richard Wagner, il più importante compositore del diciannovesimo secolo. Le sue opere vengono tuttora messe in scena al ritmo di 400 rappresentazioni all’anno. Tutti conoscono il suo nome, e un sondaggio di qualche anno fa ha stabilito che “La donna è mobile”, dal suo Rigoletto, sarebbe l’aria d’opera più riconoscibile al mondo, anche tra chi non sa nulla di musica. Accanto alla sua grandezza artistica, anche l’impegno patriottico dell’uomo e il valore simbolico assunto da alcuni dei suoi lavori contribuirono a rendere popolarissimo Verdi e a far fiorire un’ampia aneddotica su di lui. La sua morte, ad esempio, è stata raccontata mille volte ed è entrata nella leggenda: nell’inverno del 1901, all’età di 87 anni, il Maestro fu colpito da malore e spirò dopo sei giorni di agonia, il 27 gennaio. Durante quei sei giorni, i milanesi, che lo adoravano, cosparsero di paglia la strada sotto la sua finestra per attutire il rumore delle carrozze, affinché nulla lo disturbasse, e poi fecero la fila, composti, silenziosi e deferenti per andare a rendergli omaggio. Tutto questo avveniva a pochi passi dal Teatro alla Scala, dentro e intorno all’albergo in cui, dal 1872, Verdi trascorreva buona parte dell’anno. Ecco perché chiunque si sia trovato a leggere una biografia di Verdi, ma anche un semplice articolo o una voce di wikipedia, ha già sentito nominare il Grand Hotel et de Milan, uno dei pochi luoghi di ospitalità al mondo a essersi conquistati un vero posto nella storia.
Il più antico, da sempre moderno
L’atmosfera che si respira nell’albergo non ha paragoni: evolutosi attraverso numerosi restauri senza mai perdere l’anima, il Grand Hotel et de Milan è oggi un cinque stelle lusso dotato di comfort tecnologici e conforme a tutti i più alti standard internazionali dell’accoglienza. Arredi e dettagli recentissimi si mescolano sapientemente a pezzi originali e cimeli, dando vita a un insieme raffinato e retrò che non ha, però, nulla di polveroso.
L’hotel, del resto, ha in un certo senso la modernità nel sangue: inaugurato sabato 23 maggio 1863, è il più antico albergo della città. Espanso a più riprese, divenne in poco tempo un luogo di importanza strategica, proprio per la sua capacità di offrire servizi avveniristici per i tempi: unico albergo in città fornito di servizi postali e telegrafici, era frequentato da diplomatici e uomini d’affari. Comprendeva circa duecento locali, un modernissimo ascensore idraulico “Stigler” (ripristinato nell’ultimo restauro e attualmente funzionante), un giardinetto d’inverno e saloni da pranzo lussuosamente arredati.
La vicinanza al Teatro alla Scala, nel frattempo, rendeva il Grand Hotel un luogo di elezione per gli artisti e, quindi, una meta ambita per tutti gli appassionati.
Tutte queste caratteristiche si sono perpetuate fino a oggi: la relazione con la Scala, in particolare, è sempre vivissima, tanto da rendere il Grand Hotel et de Milan la prima scelta per chi arriva in città con l’obiettivo di assistere a un’opera o un balletto.
Ma, pur coltivando quest’anima musicale, il Grand Hotel non vi si è adagiato e ha saputo moltiplicare e diversificare le sue anime e le sue icone.
Nel 1888, per esempio, qui passò la sua convalescenza l’imperatore del Brasile. Fu una malattia politicamente “provvidenziale” perché, durante la sua assenza, la figlia reggente firmò la legge che aboliva la schiavitù. Una statua tuttora custodita nella hall del Grand Hotel celebra l’avvenimento.
Nel 1902, il mitico tenore Caruso eseguì in una stanza dell’hotel una delle prime registrazioni della storia della musica. Negli anni Venti, in pieno futurismo, la pittrice e femme fatale Tamara de Lempicka passò mesi nell’hotel, finanziata dal poeta Gabriele D’Annunzio. La sua suite esiste ancora.
Dopo il periodo buio delle Guerre, durante il quale l’hotel fu prima bombardato e poi requisito come quartier generale dall’esercito americano, il “Milan” tornò al suo splendore. Fu frequentato abitualmente da Maria Callas e altri artisti.
Negli anni Settanta, l’intuito di Daniela Bertazzoni, attuale hotel manager, colse la trasformazione di Milano, che stava diventando una capitale della moda. L’hotel ospitò allora sfilate, eventi e shooting, diventando una location tra le più ambite. E così, fino a oggi, al Grand Hotel è facile incontrare politici e attori, cantanti e stilisti, musicisti e personaggi dello star system, scelti – però – tra quelli che preferiscono un profilo discreto, senza paparazzi all’ingresso.

 Perché scegliere il “Milan”

“Chi viene da noi di solito sa esattamente cosa aspettarsi – commenta Moreno Pagetto, vicedirettore e Responsabile relazioni con la clientela del Grand Hotel et de Milan – Il nostro cliente tipico, quando non è addirittura un cliente abituale, ha già fatto le sue ricerche e ha capito che qui può sperimentare un tipo di albergo che sta scomparendo: un hotel dalla grande storia, con una fortissima personalità, che non appartiene ad alcuna catena e perciò offre un’atmosfera unica, autenticamente milanese e curata in ogni dettaglio, come se fosse una dimora privata”.
Tra i grandi pregi dell’albergo c’è la posizione strategica, centralissima eppure tranquilla, sospesa tra il Duomo e il Quadrilatero e a pochi metri dal Teatro alla Scala. E c’è, soprattutto, il fascino della sua storia che permea ogni angolo: “Ma qui non si vive di nostalgia – chiarisce il vicedirettore – I nostri servizi sono modernissimi, con un occhio particolare ai gusti dei nostri ospiti”. Tra chi approda al Milan, ancora oggi, una percentuale significativa è rappresentata dagli appassionati di musica classica e dai melomani di tutto il mondo. “Europei di ogni latitudine, americani, australiani, giapponesi – elenca Pagetto – arrivano da noi sulle tracce dei loro beniamini antichi e moderni, da Nureyev a Baremboim. Sia tra i vip sia tra le persone comuni sono molti quelli che si affezionano a una stanza e ogni volta che tornano chiedono quella: perché ogni stanza si differenzia dalle altre per atmosfera e dettagli”. L’ospite tipico del Grand Hotel, perciò, che viaggi per affari o per piacere, è caratterizzato da una certa sensibilità artistica e da un’attrazione per la cultura e le tradizioni del luogo che visita: “Il nostro è per lo più un pubblico maturo – riassume il vicedirettore – esigente e attento ai dettagli, ma anche desideroso di incontrare un calore umano e delle maniere che vanno al di là della professionalità, e qui da noi sono una regola”.

Il Ristorante: mangiare dove il Maestro componeva

Naturalmente, anche il ristorante principale del Grand Hotel non è un posto qualsiasi. Il Don Carlos, aperto per cena (ma l’offerta comprende anche il Caruso, aperto per pranzo, e il più informale Gerry’s bar, molto frequentato anche da milanesi e turisti di passaggio) è un ristorante di alta qualità caratterizzato da un fascino irripetibile. Anche qui l’ambiente riflette tutta la sua storia, tra preziosi candelabri, ritratti alle pareti e un’apparecchiatura classica e di grande eleganza: il tutto in un contesto intimo (35 coperti) e con un servizio impeccabile ma non invadente. Primo in assoluto a proporre la cena fino a orari notturni per servire gli ospiti in uscita dagli spettacoli della Scala, il ristorante ha una fascia di clientela saldamente legata alla passione per la musica. A questa si aggiunge una significativa percentuale di coppie in vena di romanticismo. Ma, come tiene a sottolineare l’head chef Mauro Moia, “siamo fieri di poter dire che questo è anche un posto per buongustai, dove chi arriva può assaggiare l’eccellenza della vera cucina italiana”. Ovviamente, infatti, qui non è aria di fusion: la cucina è attenta al territorio e alle tradizioni, con una carta che tiene conto delle stagioni e della genuinità dei prodotti. Negli ultimi anni, in particolare, lo chef e la sua brigata hanno lavorato molto per proporre piatti, anche meno conosciuti, tipici soprattutto del nord Italia: “Nel rispetto delle loro abitudini alimentari e delle loro esigenze, di salute o religiose, – spiega Moia – incoraggio sempre i miei ospiti a provare anche quello che non conoscono: la cucina tipica italiana non è fatta solo di lasagne o spaghetti alla bolognese, ma di mille piatti regionali che sono un piacere da riscoprire”. Gli stessi che hanno nutrito Giuseppe Verdi, mentre componeva il Falstaff o l’Otello.